“La mia vita è finita”.
Sarebbero queste le parole pronunciate dalla mamma italiana autrice-vittima di un infortunio mortale indiretto, quello della propria bimba, dimenticata in auto per circa 5 ore, il tempo del proprio turno di lavoro mattutino.
“Pensate a quale potrebbe essere l’evento che una madre metterebbe in fondo alla lista della sua vita: non vi sembra assurdo che, invece, proprio quell’evento possa avverarsi addirittura sotto la propria responsabilità?”
Ne abbiamo discusso il giorno dopo l’accaduto durante un incontro di aggiornamento con lavoratori e lavoratrici ed è emerso che ciò che solo qualche anno fa sarebbe sembrato assurdo, oggi non lo è più.
Il vero motivo su cui riflettere diventa quindi la consapevolezza della propria vulnerabilità: cosa mi rende vulnerabile? In quali circostanze? Come posso difendermi?
Due anni fa scrivevo su questo blog della ripresa degli infortuni dopo anni di trend positivo: oggi ci troviamo con i dati del primo trimestre 2017 che parlano di un incremento dell’8% degli infortuni mortali sullo stesso periodo del 2016, con particolare riferimento a quelli delle donne.
E poiché l’aumento dell’occupazione nello stesso trimestre non è significativo, il dato infortunistico è decisamente emblematico della nostra realtà attuale.
Per questo sono sempre più convinto che fino a quando il nostro modello organizzativo economico-sociale non consentirà alle donne di svolgere al meglio il proprio ruolo familiare e sociale a vantaggio di tutti, saranno loro a pagare il prezzo più alto in termini di salute e di incolumità fisica, sia tra le mura domestiche che nel proprio lavoro.
“Prendersi cura della propria salute e sicurezza…” recita il primo obbligo giuridico per i lavoratori, all’art.20 del Decreto 81.
Estremamente difficile metterlo in pratica quando il primo obbligo morale è quello di prendersi cura degli altri.
Senza un aiuto adeguato.
E molto spesso senza un grazie.