Le ultime notizie sulla tragedia aerea avvenuta i giorni scorsi sulle alpi francesi, con 149 vittime, mi hanno fatto riflettere sul termine “cura”.
Pare che il 27enne copilota, autore del gesto suicida, fosse “in cura” da tempo per problemi psicologici-psichiatrici e che la sua morte sul lavoro in volo fosse cominciata lontano dalla pista di decollo.
Tutte le tragedie che coinvolgono mezzi di trasporto passeggeri (aerei, navi, treni, bus…) sono anche tragedie sul lavoro per il personale coinvolto.
In questo caso particolare mi è tornato in mente l’articolo 20 del decreto 81 (il “testo unico” sulla sicurezza) che ha come titolo OBBLIGHI DEI LAVORATORI.
Quando nelle mie lezioni arrivo alla lettura e commento di questo articolo, da due anni a questa parte mi soffermo in particolare sulle parole che precedono l’elenco degli obblighi: “Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni…”. Subito dopo c’è scritto che questa capacità-responsabilità di prendersi cura sarà direttamente proporzionale alla “formazione, istruzioni e mezzi forniti dal datore di lavoro”.
Durante la lezione mi soffermo proprio sul termine “prendersi cura” e sul fatto che esso sia un atteggiamento inquadrato come obbligo “morale” mentre tutti gli altri, che vengono elencati di seguito, sono, invece, obblighi di “fare/non fare” (utilizzare correttamente, segnalare tempestivamente, non rimuovere, non compiere azioni…). E’ come se senza un’ attenta vigilanza su noi stessi fossimo più vulnerabili e rendessimo più vulnerabili coloro che durante il lavoro ci sono vicini.
“Ma noi non abbiamo il tempo e la testa per pensare a noi stessi sul lavoro…”, oppure “Le scadenze e le cose da fare vengono prima, altro che prenderci cura…”, o ancora “Sa qual è la mia prima preoccupazione? Dover accontentare il datore di lavoro”.
Sull’altro fronte, i datori di lavoro, ai quali è affidata la seconda parte di responsabilità nel mettere in pratica l’obbligo “morale” (formazione, istruzioni e mezzi) esprimono spesso il loro scoraggiamento: “Guardi, con certi dipendenti non c’è proprio niente da fare“, oppure “Ma lo sa da quanto tempo sto lottando per fargli capire queste cose?”, o ancora “E di me chi si deve prendere cura?”
Queste affermazioni, abbastanza diffuse, sono proprio la prova che la sicurezza sul lavoro funziona davvero quando a prendersene cura sono i lavoratori insieme ai loro datori di lavoro, e questo capita più facilmente quando nei luoghi di lavoro si favorisce una mentalità collaborativa e partecipativa.
Perciò, mentre la vecchia cultura della sicurezza fà ancora oggi leva sulla “paura della Procura”, la nuova cultura che stiamo costruendo dovrà fondarsi sul “prendersi cura”.