un caffè amaro

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Sono le 11, arrivo puntuale all’appuntamento con la proprietaria di un caffè-bistrot aperto di recente.

E’ una mia cliente per la quale ho già fatto una consulenza, ci siamo conosciuti anni fa quando lei era dipendente in una attività commerciale, poi insieme ad un fratello aveva aperto un ristorante-pizzeria dove lavorano entrambi: investimenti, tanto lavoro, preoccupazioni, personale da formare, crisi economica, sacrifici.

Dopo circa quattro anni, finalmente, un po’ di soddisfazioni.

E’ gentile, ci accomodiamo su due sgabelli alti, il nuovo cuoco ci porta un assaggio di insalata di polpo, vuole un parere perché è la prima volta che la prova, l’insalata è gradevole.

Io, facendole qualche domanda, tiro fuori dalla mia valigetta i documenti sui quali annotare i dati della valutazione dei rischi che mi accingo a fare, ma mi accorgo che è distratta e penso dipenda dal fatto che il tempo da dedicare alla valutazione dei rischi sia, per un datore di lavoro, poco utile.

Mi sbagliavo.

“Scusami, ti voglio leggere un messaggio che mio fratello mi ha scritto stamattina alle 6, dopo avermene inviato uno a mezzanotte e uno alle 4”. Ha gli occhi lucidi. “Sai cosa è successo ieri al ristorante?”.

C’era stata una visita ispettiva sull’igiene degli alimenti in piena serata, il locale quasi pieno. Gli ispettori, bruschi nei modi a detta dei presenti, hanno trovato alcune irregolarità, sanzioni stimate dai titolari per alcune migliaia di euro.

L’sms delle 6 era scritto da un datore di lavoro di 8 dipendenti, tutti regolarmente assunti, nessun infortunio dall’inizio dell’attività, adempimenti sulla sicurezza ok, manuale HACCP ok: “Non ho più voglia di andare avanti così, di essere trattato come un delinquente dopo trent’anni di duro lavoro. Non è giusto che chi si impegna per dare lavoro venga trattato in questo modo. Da oggi il mio 50% è in vendita. Basta così.”

Lei mi guarda, gli occhi lucidi, ha un carattere forte: “Ti sembra giusto? Ha ammesso di aver sbagliato ma lo Stato non può trattarci così.” Guarda il suo smartphone scuotendo la testa. “Scusa lo sfogo…Dài, pensiamo alla sicurezza, vuoi un caffè?”

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