SUPERMAN CONTRO SUPERJOB

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“Da piccolo mi è sempre piaciuto Superman. Dei suoi superpoteri ho sempre preferito la velocità, superiore a quella della luce, e la capacità di vedere ai raggi X.

Chissà se questo mio eroe dell’infanzia mi abbia condizionato nella scelta del mio lavoro, quello di tecnico di radiologia. A pensarci bene potrebbe anche essere, visto che con l’aiuto della tecnologia avevo la possibilità di guardare dentro il corpo dei pazienti per scoprire malattie invisibili all’occhio umano.

Non mi parve vero ricevere la lettera della ASL con la quale venivo assunto all’ospedale: finalmente potevo sposarmi.

Ero uno dei pochi tecnici di radiologia dell’ospedale e subito divenni un punto di riferimento per i medici e i colleghi. Quasi subito iniziarono gli straordinari, dapprima ogni tanto, poi ad ogni turno. Il lavoro mi piaceva, soprattutto quando mi chiamavano per le urgenze: mi sentivo indispensabile e per questo non mi pesò affatto quando mi chiesero la reperibilità, inizialmente solo di giorno poi anche di notte.

Esami, TAC, corri di qua, vai di là…un lavoro senza fine. Ma io non mi lamentavo, anche perché con la bimba che nel frattempo era nata non potevo permettermi di creare problemi all’azienda.

L’ultimo anno sono arrivato a fare oltre 100 esami in un giorno: più veloce della luce, come Superman.

L’ultimo periodo non riuscivo più a dormire e allo stesso tempo non riuscivo neanche a staccarmi dal lavoro, che negli anni era diventato un mostro che si mangiava tutto.

Solo Superman avrebbe potuto continuare a fare quel superlavoro.

Ma Superman non esiste. Avrei voluto dirglielo a Pino.”

Supermedico

INFORTUNI AL FEMMINILE

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Infortuni al femminile

“La mia vita è finita”.

Sarebbero queste le parole pronunciate dalla mamma italiana autrice-vittima di un infortunio mortale indiretto, quello della propria bimba, dimenticata in auto per circa 5 ore, il tempo del proprio turno di lavoro mattutino.

“Pensate a quale potrebbe essere l’evento che una madre metterebbe in fondo alla lista della sua vita: non vi sembra assurdo che, invece, proprio quell’evento possa avverarsi addirittura sotto la propria responsabilità?”

Ne abbiamo discusso il giorno dopo l’accaduto durante un incontro di aggiornamento con lavoratori e lavoratrici ed è emerso che ciò che solo qualche anno fa sarebbe sembrato assurdo, oggi non lo è più.

Il vero motivo su cui riflettere diventa quindi la consapevolezza della propria vulnerabilità: cosa mi rende vulnerabile? In quali circostanze? Come posso difendermi?

Due anni fa scrivevo su questo blog della ripresa degli infortuni dopo anni di trend positivo: oggi ci troviamo con i dati del primo trimestre 2017 che parlano di un incremento dell’8% degli infortuni mortali sullo stesso periodo del 2016, con particolare riferimento a quelli delle donne.

E poiché l’aumento dell’occupazione nello stesso trimestre non è significativo, il dato infortunistico è decisamente emblematico della nostra realtà attuale.

Per questo sono sempre più convinto che fino a quando il nostro modello organizzativo economico-sociale non consentirà alle donne di svolgere al meglio il proprio ruolo familiare e sociale a vantaggio di tutti, saranno loro a pagare il prezzo più alto in termini di salute e di incolumità fisica, sia tra le mura domestiche che nel proprio lavoro.

“Prendersi cura della propria salute e sicurezza…” recita il primo obbligo giuridico per i lavoratori, all’art.20 del Decreto 81.

Estremamente difficile metterlo in pratica quando il primo obbligo morale è quello di prendersi cura degli altri.

Senza un aiuto adeguato.

E molto spesso senza un grazie.